Etica e codice deontologico

Introduzione

Per parlare di Etica e Codice Deontologico dobbiamo tenere presente che appartengono, sicuramente, a due concetti diversi, anche se l’una crea, di conseguenza, l’elaborazione dell’altra.

E’ motivo di dibattito oggi parlare di “liberalità” delle professioni, legata a una deregolamentazione degli albi, a un accreditamento istituzionale delle associazioni e conseguentemente sulla necessità di un confronto serrato sull’etica e precisamente su etica e professione.

Iniziamo con il chiarirci etimologicamente il significato della parola “ETICA”, perché solo parlando lo stesso linguaggio, abbiamo la possibilità di aprire un confronto costruttivo.

ETICA: costume, norme di vita. Questo concetto entrò nell’uso con Aristotele il quale così intitolò le sue trattazioni filosofiche nella pratica. I tre elementi della filosofia di allora erano suddivisi in:

  • “logica” (dottrina della scienza),
  • “fisica” (dottrina della realtà),
  • “etica” (comportamento rispetto alla realtà).

Il termine di allora, acquisito alla filosofia di etica, è stato sempre identificato con il concetto di morale.

Kant, filosofo, nato ai primi del 1700 sosteneva che la libertà di scelta derivasse essenzialmente da un pensiero filosofico; oggi, per i biologi, (Pensiero Meccanicistico) la libertà di scelta deriva, essenzialmente, da un provato scientifico. Sostanzialmente con studi scientificamente comprovabili.

Da questo brevissimo preludio, possiamo introdurci in etica e professione tenendo presente che non esiste un’etica del medico, dell’ingegnere, dell’igienista dentale o della segretaria, ma esiste l’etica.

In medicina, in particolare, il concetto di etica ha subito in questi ultimi decenni un complesso cambiamento di rotta. Parallelamente, il grande sviluppo della tecnologia e delle conoscenze scientifiche in odontoiatria ha aumentato la capacità di intervenire da un lato, ma dall’altro ha accresciuto la complessità delle decisioni e delle responsabilità da assumersi.

Si è così tracciato un nuovo orientamento per l’etica medica in considerazione di due circostanze fondamentali:

  1. E’ superata la visione paternalistica del medico di fronte al progressivo affermarsi dell’autonomia del paziente.
  2. Con il progresso scientifico, attraverso la medicina, le bioscienze e le biotecnologie sono coinvolti, non solo tutti gli operatori sanitari e i biologi, ma anche filosofi, bioeticisti giuristi e in generale esperti di scienze sociali.

E’ certo che la responsabilità è un atto che si deve riflettere nei comportamenti pratici, evitando le ricadute negative. E’ altrettanto certo che il gran progresso scientifico e tecnologico ha portato a guardare al paziente non come a un essere sofferente e bisognoso di rispetto, ma a un numero, all’interno di processi tecnologici e specifici, i quali tendono a guarire il corpo ma a lasciare sofferente l’animo.

In questi ultimi anni, tutto il pensiero filosofico rispetto all’etica è cambiato. Il medico e tutto il personale sanitario non guardano più al malato come un numero ma tendono “a farsi carico” della persona nel suo insieme.

Nasce così la BIOETICA

La Bioetica nasce, in realtà, nel 1970 per opera dell’oncologo statunitense Rassler Van Potter che lo adopera come titolo di un suo libro, “ Bioethics. A bridge to the future”. Ebbe una larghissima risonanza ovunque e si concentrava soprattutto sull’esigenza di poter vivere in un mondo che avesse una maggiore disponibilità ad affrontare e adottare i temi di carattere ecologico. In seguito, nel periodo che va dal 1971 al 1978, presso il Kennedy Institute of Ethics di Washington è redatta l’Enciclopedia of Bioethics, nella quale al termine bioetico è attribuito il significato di un’etica medica per la contemporaneità.

I riferimenti ai quali fanno capo i corretti comportamenti del professionista sanitario sono sanciti da una serie di normative e documenti che riguardano tutto il comparto e altro ancora:

I Codici Deontologici della FNOMCEO, che si sono susseguiti 
nel tempo, fino alla versione attuale emanata nel 2006; i documenti del Comitato Nazionale per la Bioetica, in particolare, Informazione e consenso all'atto medico (1992); le Dichiarazioni Universali di pertinenza bioetica, dalla Convenzione europea sui diritti dell’uomo e della biomedicina (Oviedo, 1997) alla Dichiarazione Universale di Bioetica e Diritti Umani (UNESCO, 2006) e a tutte le Dichiarazioni 
dell’AMM (note come Dichiarazione di Helsinki); Scopi, rischi e limiti della medicina (2001), Bioetica in odontoiatria (2005), Conflitti d'interessi nella ricerca biomedica e nella pratica clinica (2006); la normativa in materia di protezione dei dati personali, in particolare il Codice in materia di protezione dei dati personali (2003).

In linea generale, dunque, nonostante le specifiche e diverse tecniche operative delle specialità medico-chirurgiche, non è possibile immaginare situazioni che non rientrino nelle norme etiche generali relative al rapporto medico-paziente. I problemi d’interesse etico e tanto più quelli di significato bioetico, pur attraversando operativamente le diverse specialità della medicina e chirurgia e soprattutto della biologia, riguardano cioè valori universali e principi il cui significato può essere rivisitato e modulato, ma che vanno di là delle discipline particolari e dei campi di applicazione specifici.

Questa è la situazione in cui si inserisce e cambia la professione dell’igienista dentale.

L’igienista ha responsabilità etiche e morali particolarmente evidenziate, se possibile, perché maggiormente a contatto con il paziente e con le mille sfaccettature della sua personalità. Cambia l’approccio psicologico e soprattutto il rapporto sanitario/paziente perché diventa uno scambio paritetico in cui, il sanitario si pone all’ascolto e all’accoglienza del paziente per comprenderne, non solo il punto di vista patognomonico, ma la prospettiva complessa del suo essere nel suo insieme; e il paziente deve confrontarsi e condividere le scelte terapeutiche che sono proposte dal sanitario. E’ evidente che il metodo, la prassi e il contatto tra il paziente e il sanitario sono completamente diversi dagli anni precedenti. Sia l’approccio linguistico, sia psicologico. Il Sanitario deve essere in grado di far comprendere non solo la diagnosi ma anche le possibili vie terapeutiche con i pro e i contro che queste comportano e il paziente deve poter chiarire ogni aspetto che non è chiaro, per prendere una decisione condivisa, che lo conduca a una terapia che ritenga migliore per la sua persona. L’etica applicata coinvolge tutta l’odontoiatra come qualsiasi professionista sanitario, ad esempio attraverso l’informazione e il consenso al trattamento; seppure in modo meno drammatico, tenuto conto della natura della patologia che non produce in genere preoccupazioni quoad vitam, anche se può arrecare turbative quoad valetudinem d’indubbio significato, ove si impongano scelte che incidono negativamente sul modo di essere del paziente. Alcuni trattamenti, infatti, pur essendo appropriati scientificamente, potrebbero ledere valori personali essenziali, così da rappresentare fonte di malessere, anche grave, fino a provocare, soprattutto in soggetti predisposti, turbative esistenziali di non poco rilievo. Un esempio è il caso in cui la riduzione dell’efficienza estetica rappresenta il prezzo da pagare per ottenere una migliore funzione masticatoria. La componente biologica della salute della bocca e dei denti, ma anche la valenza comunicativa e antropologica e il suo significato simbolico giustificano un importante impegno bioetico nella risoluzione di alcune contingenze professionali, in ragione del fatto che il concetto di bello umano non può essere ancorato a un parametro ben definito e, come tale, univocamente inteso e unanimemente accettato. Si tratta, infatti, di un “evanescente postulato che non è possibile dimostrare a causa della sua peculiare soggettività e relatività”.

La salute orale, quindi, non vuole dire solamente assenza di malattia cariosa o parodontale, ma è indispensabile considerarne gli effetti su tutti gli aspetti della vita di una persona e il conseguente benessere riguardo a:

1) fattori funzionali (mangiare e masticare);

2) fattori psicologici (connessi con l’aspetto della persona e con la propria autostima);

3) fattori sociali (rapporti interpersonali);

4) l’esperienza di dolore o disagio.

Nel 1993 l’OMS ha ampliato il concetto di salute correlandola alla qualità di vita, intesa come “la percezione che gli individui hanno della loro posizione nella vita, nel contesto culturale e nel sistema nel quale vivono e sui loro obiettivi, attese, pretese e interessi”.

In seguito, nel 2001, l’OMS, con la classificazione ICF: Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità, della Salute, ha associato lo stato di salute di un individuo non solo a funzioni e strutture del corpo umano ma anche ad attività a livello individuale o di partecipazione sociale .

  • L’attività odontoiatrica ha caratteristiche uniche ed esclusive;
  • L’alta e particolarissima manualità;
  • L’indispensabile conoscenza di una serie eterogenea di materiali;
  • L’imprescindibile rapporto con altre figure professionali (odontotecnico, igienista, ecc.);
  • L’applicabilità di normative speciali.

Le problematiche etiche hanno implicazioni legali, anzi spesso riguardano temi su cui la Legge non si esprime; in sostanza l’etica è fondamentale più della Legge.

Una Legge può essere etica o non etica, mentre non si può affermare il contrario.

Chi sceglie di essere etico lo fa da riflessioni complesse sul tipo di persona che vuole essere, sulle qualità delle persone che ammira nella vita, sulla comunità con cui si vuole identificare e sull’efficacia dei diversi modi di agire e di vivere collegati a questi problemi. Ci accorgeremo che difficilmente le esigenze degli uni s’integrano con le necessità degli altri, in particolar modo in una società, dove si sposano economia e salute, essere o avere, immagine e realtà.

Così una serie d’interrogativi deve essere risolta “eticamente”. Dal problema costi/benefici, (che già di per sé è un problema complesso), alla qualità del servizio che offriamo, alle conoscenze scientifiche.

Quando parliamo di conoscenza scientifica, qual è il criterio da seguire eticamente? La conoscenza scientifica imperniata sulla letteratura o dovrà guidarci la nostra esperienza clinica, oppure dobbiamo rifarci a una decodificazione dei risultati della ricerca scientifica specifica, che ci dice ciò che è legittimo fare e ciò che non necessario eseguire?

Fondamentalmente l’etica afferma che nulla deve essere legato al libero arbitrio, né può essere fatto solo sulla propria esperienza individuale: tutto ciò serve solo a reiterare i nostri errori. Dobbiamo avere delle linee guida, dei protocolli che, rifacendosi all’esperimento clinico scientifico controllato, ci fornisce le “PROVE DI EFFICACIA”.

  • Le prove di efficacia sono sufficienti per definire un piano terapeutico “condiviso” con il paziente?
  • L’esperienza clinica quanto può influire sulle prove di efficacia se il paziente non le condivide?
  • Le conoscenze scientifiche in possesso del Sanitario sono tali e tante da potersi assumere la responsabilità oggettiva di quest’atto?
  • Si può sapere e fare di più?
  • Il professionista si sta occupando della malattia o della persona malata?
  • Il comportamento intrinseco del Sanitario può nuocere a qualcuno?

Sono solo alcune domande che ogni giorno il Professionista, deve sempre porsi, ma non solo con il paziente, e…deve sapersi dare una risposta.

La bioetica riprende vigore nella situazione attuale in cui si avverte la necessità di verificare, non solo la legittimità morale delle procedure scientifiche, ma anche la liceità dei comportamenti degli operatori sanitari in una prospettiva etica e deontologica. Il riconoscimento di tali dimensioni fa sorgere l’esigenza di inserire nel sistema globale il sistema bioetico, come raccordo tra gli ambiti biomedico e socio - sanitario i quali costituiscono, l’aspetto formale (istituzionale) e l’aspetto informale (personale). L’obiettivo della Bioetica è la relazione tra queste due realtà.

La bioetica non è estranea ai problemi clinici. Da essi si compone e si sviluppa.
Il progresso biomedico e biotecnologico rende oggi più che mai urgente una comprensione e una riflessione in materia di bioetica per chi opera nell'ambito sanitario. Ognuno ha la libertà di divenire ciò che crede, ma l’etica è condizione

Imprescindibile di questa libertà!

L’etica o è laica o non è….

Per laica s’intende libera da qualsiasi appartenenza confessionale e libera da qualsiasi fede religiosa.

I principi che regolano la bioetica indicano norme che tutti devono osservare ed “far osservare” nell’esercizio della professione. Devono orientare le scelte dei comportamenti nei diversi livelli di responsabilità in cui si opera.

Il confronto tra bioetica e diritti umani offre interessanti prospettive anche in campo filosofico: dovrà prevalere un modello basato su alcuni principi morali irrinunciabili, che troverà una eco anche nelle costituzioni e nei codici? Oppure, dovrà vincere una linea di pensiero di tipo relativista, che predicherà scelte legislative ispirate a un cosiddetto “diritto debole”?

Tutto ciò che è scientificamente e tecnicamente possibile… è anche eticamente lecito?

Il problema riveste particolare rilievo quando si tratta di tecnologie che hanno un impatto diretto sulla qualità

dell’assistenza ai pazienti e/o sulla valenza scientifica di molti atti sanitari. 
Per quanto concerne l’odontoiatra (compresa l’igienista dentale), il problema riguarda le tecnologie intese sia come strumentazione, sia come beni di consumo, da utilizzare per i procedimenti diagnostici attinenti all’odontoiatria. Il punto centrale, relativo al concetto stesso di scelta, consiste nell’esigenza che, una volta completato un processo di “formazione della decisione” accurato e basato sulla valutazione di tutte le implicazioni concernenti la decisione stessa, vi sia un “decisione finale” che assuma tutte le responsabilità del caso. Tale decisone non può che essere il professionista stesso che eroga la prestazione, che deve  assumersi tutte le responsabilità di una decisione professionalmente corretta e adottata secondo i criteri della competenza e massima trasparenza del processo. 
Una corretta scelta delle tecnologie per l’odontoiatra e per l’igienista, deve essere basata sui seguenti criteri essenziali:

Conoscenza dell’uso alla quale tale tecnologia è destinata;

Conoscenza degli aspetti tecnici ed economici delle diverse scelte disponibili per le applicazioni, alle quali la tecnologia da valutare è destinata;

Conoscenza dell’ambiente culturale nel quale la tecnologia prescelta sarà collocata;

Lo scenario bioetico entro cui si traccia la specificità della professione è unico; da questa situazione scaturiscono i principi che devono ispirare l’attività professionale:

  • Tutela e valorizzazione della vita e dell’integrità della persona
  • Dignità umana e centralità del benessere del paziente
  • Rispetto dell’autonomia decisionale del paziente
  • Empowerment nel processo di cura
  • Consenso condiviso
  • Privacy e confidenzialità
  • Uguaglianza, giustizia ed equità

Tutela e valorizzazione della persona

Il rispetto dell’integrità fisica e la sviluppo della valorizzazione della persona umana sono il presupposto di ciascun professionista della salute, che deve intervenire sul soggetto secondo il parametro della proporzionalità che bilanci i rischi e i benefici di ogni intervento eseguito sul paziente. La pressante tecnologia deve essere di ausilio ma non può diventare una fonte di “commercio” nel rispetto della tutela della persona. Talenti e qualità possono svilupparsi solo in un ambiente relazionale ove la persona si senta compresa e valorizzata, e non usata e sfruttata come una macchina da lavoro. E’ necessario creare una situazione in cui si è liberi di far parte, e non di cui si è costretti a far parte dal bisogno e dalla paura. Solo in tal modo la persona darà il meglio di se stessa, contribuendo al progetto comune.

Dignità umana e centralità del benessere del paziente

Il rapporto con il paziente deve avvenire nel pieno rispetto della dignità umana, dei diritti e delle libertà fondamentali, nella consapevolezza che gli interessi e il benessere dell’individuo devono prevalere sull’interesse esclusivo della scienza o della società. L’evidenza etico-filosofica, ampiamente condivisa, che l’uomo trascende il mero essere individuo di una specie. L’uomo possiede un’interiorità, che gli consente di sviluppare una vita e una speciale comunicazione con il mondo, con gli altri. Caratteristiche della vita che riempie l’interiorità umana sono l’autodeterminazione, la padronanza di sé, e l’essere incomunicabile nel senso d’inalienabile e insostituibile: gli atti propri dell’interiorità non possono essere esercitati “dal fuori”. Tutto ciò fonda la convinzione che le persone umane possiedono un valore eccellente, sovra-cosale e sovra-utilitario, non negoziabile, non sottoposto a ponderazione né a scambi. Le persone umane hanno dignità, e non un prezzo. Non possono essere trattate strumentalmente.

Riassumiamo dunque alcuni espressivi contraccolpi che la riflessione su tale concetto all’età della tecnica ha avuto sulla nozione stessa di dignità umana.

Un primo efficace cambiamento si è attuato quando in bioetica la nozione di dignità umana diviene in primo luogo uno strumento per proteggere l’uomo dall’uomo, per difendere l’umanità tout court (e le sue stesse basi biologiche) dalle possibilità di manipolazione radicale messe a disposizione dalle nuove tecnologie; mentre nella storia della filosofia la nozione di dignità umana era stata impiegata per segnare la differenza e la superiorità dell’uomo rispetto a tutti gli altri enti.

In secondo efficace cambiamento sulla dignità umana è avvenuto quando l’avvento di una grande tecnologia ha posto una serie di problemi inauditi, questioni che mai nessuno di coloro che si è occupato, precedentemente, di tale problemi ha dovuto affrontare. Ammesso (e non concesso) che ciascun essere umano abbia quel peculiare valore intrinseco che è chiamata dignità umana, da quando la possiede? Solo finché ha in atto le cosiddette facoltà superiori o anche quando non è ancora o non è più consapevole? O anche nei casi di persone (malati mentali, disabili gravissimi, bambini anencefalici) che non lo saranno mai? È legittimo parlare di dignità umana solo per gli individui, oppure anche – per derivazione – a proposito di gruppi d’individui o della specie umana o del genoma umano? Questo secondo contraccolpo concettuale dipende direttamente da una delle problematiche classiche che hanno determinato la nascita stessa della bioetica: la progressiva “diluizione dei confini”. E’ forse auspicabile ripensare il concetto stesso di dignità umana per includervi anche altre caratteristiche fondamentali della condizione umana (ad esempio dipendenza, vulnerabilità, ecc.)? O si deve coerentemente sostenere che “degni” sono soltanto gli individui autonomi e consapevoli (e fintantoché restano tali)? Anche in questo caso ci troviamo di fronte ad uno dei temi che la bioetica ha contribuito a riportare all’attenzione: quello del recupero e della valorizzazione della corporeità umana e della conseguente necessità di strumenti concettuali più ricercati per esprimere più adeguatamente la nostra umanità. Tutte queste sfide possono essere colte e accolte pienamente solo da un pensiero disposto a lasciarsi interpellare e provocare dall’esperienza, invece che rimanere arroccato nella tranquillizzante, ma illusoria, stabilità dei concetti della tradizione. C’è bisogno di un pensiero che accetti di rimettere in discussione le nozioni antiche per fare loro dire qualcosa rispetto ai problemi nuovi che la vita continuamente pone.

Rispetto dell’autonomia decisionale del paziente ed empowerment nel processo di cura

Il legame continuo, fiduciario e collaborativo fra il medico
e il paziente, che caratterizza la medicina generale e in particolare l’odontoiatria, è il motore
di una partecipazione condivisa al processo decisionale delle cure.

I cittadini sono sempre più informati (internet, mass media, face book, twitter) e in grado di capire la natura e origine dei propri malesseri e di conseguenza formulare ipotesi e proporre rimedi e cure alle proprie malattie.

Esami diagnostici e pratiche terapeutiche sono, oramai, alla portata di tutti i pazienti. Questo modo di comportamento che il paziente mette in atto per accrescere le proprie capacità decisionali, di esprimere la propria autonomia, di fare progetti riguardanti se stesso e alla propria salute è chiamato self empowerment. In questo processo di autodeterminazione del paziente, l’apparente perdita del ruolo guida svolto dal medico, come unico depositario del sapere sanitario, modifica la relazione paziente-medico potendo sollecitare reazioni di tipo difensivo di quest’ultimo poiché chiamato come consulente e coordinatore d’iniziative che il cittadino considera capace di assumere in maniera autonoma.

Elemento utile a sviluppare l’empowerment o autodeterminazione del paziente è la partecipazione condivisa con il medico al processo decisionale delle cure.

È ormai riconosciuto che quando l’utente partecipa al processo decisionale, la sua soddisfazione è maggiore, i risultati clinici migliorano; accetta le decisioni prese e si attiene al trattamento deciso.

In letteratura sono descritti tre modelli di processi decisionali delle cure.

  1. Paternalistico: il medico decide ciò che ritiene sia meglio per il paziente, senza chiedere a quest’ultimo le sue preferenze.
  2. Consenso condiviso: il paziente riceve (di solito dal medico) informazioni sulle scelte di diagnosi e cure,

necessarie per prendere una decisione.

  1. Condivisione delle decisioni: il paziente e il medico contribuiscono per quanto di competenza alla soluzione del problema.

Per favorire l’empowerment del cittadino, il Professionista Sanitario deve verificare le attese e le priorità del paziente; coinvolgere l’utente nei propri piani di cura e assistenza e, utilizzando l’approccio della decisione condivisa, richiedere il loro feedback, anche sui servizi per avviare i processi di miglioramento.

I cittadini, per accrescere l’empowerment, devono essere informati e messi in grado di decidere rispetto a:

  1. La scelta del professionista dal quale essere curato;
  2. La propria cura (percorso condiviso);
  3. Le politiche locali alternative dei servizi per la salute.

La centralità del paziente nel sistema sanitario è una condizione fondamentale che deve essere assunta e interpretata oltre che dal medico anche dal paziente stesso che deve partecipare attivamente al processo di empowerment. Il potere su se stesso, nel processo di autodeterminazione, si realizza quando il paziente è considerato protagonista consapevole rispetto ai determinanti della salute e in grado di partecipare attivamente al controllo dei fattori di rischio per le malattie promuovendo la sua salute.

La completa presa di fiducia del cittadino nelle proprie capacità si realizza nel rapporto di fiducia medico- paziente in cui il potere si colloca in un’azione decisionale in comune.

Il paziente autodeterminato è capace di esprimere i propri bisogni e di condividere attivamente, insieme al medico, decisioni diagnostiche e percorsi di cura per i quali è necessario il consenso informato. Il processo decisionale in comune implica che il medico e il suo paziente comprendano le rispettive asimmetriche posizioni portandole a una simmetrica volontà decisionale. In una logica di equa ripartizione del potere si rafforzano le possibilità del medico di comprendere e interpretare i bisogni dei pazienti e di promuovere la loro salute.

La triade relazionale: l’empowerment offre un modello relazionale “paziente-medico-sistemi di cura” in cui tutti possono esercitare il potere di controllare e gestire in maniera condivisa i processi decisionali sanitari. L’odontoiatra deve svolgere il ruolo di coordinatore e consulente delle attese di diagnosi e cura espressi in maniera attiva dal paziente mentre i sistemi di cura devono offrire, in un budget economico e umano determinato e controllato, prestazioni sanitarie in grado di soddisfare nei tempi e nei modi le richieste dei pazienti.

Ci chiediamo a questo punto se esistano delle azioni che il medico possa mettere in atto per promuovere l’empowerment di se stesso e dei propri pazienti.

La relazione medico-paziente può generare autodeterminazione. La pratica della medicina include l’empowerment nel legame continuato, fiduciario e collaborativo fra il medico e il paziente.

L’autodeterminazione non è fornita dall’esterno al paziente, ma si realizza ed è sostenuta da una corretta e reciproca volontà della gestione delle cure.

Esistono diversi fattori che accrescono e promuovono l’autodeterminazione del paziente.
Le indicazioni fornite dalla letteratura propone al medico diverse strategie per sviluppare l’empowerment del paziente potendo:

  • Sollecitare i pazienti a esprimere le loro preferenze, in modo da discutere le possibilità di trattamento adeguate;
  • Fornire al paziente le informazioni tecniche sulle scelte di trattamento, sui rischi e sui probabili benefici in modo chiaro, semplice e oggettivo;
  • Aiutare il paziente nel processo di valutazione dei rischi e dei benefici;
  • Assicurare che le preferenze del paziente si basino su fatti oggettivi e non su presupposti erronei favorendo i colloqui con personale specializzato;
  • Discutere col paziente il trattamento;
  • Fornire al paziente informazioni e documentazione sull’operatività e i risultati conseguiti prima di accedere al servizio;
  • Raccogliere informazioni presso i pazienti, al fine di ampliare il quadro clinico (e anche la ricerca), per esempio facendo compilare questionari durante l’attesa;
  • Eseguire indagini presso i pazienti per comprendere come sono giunti a certe decisioni, quali fattori hanno considerato e che peso hanno loro attribuito.

Si può quindi affermare che mediante il processo di empowerment gli individui sono in grado di riconoscere i propri bisogni di salute; controllare i fattori personali, sociali e ambientali che influiscono sulla loro salute; partecipare attivamente ai processi decisionali connessi ai percorsi di cura; realizzare autonomamente comportamenti in grado di influire sulla salute e avere la percezione di essere nelle condizioni di adottare tali comportamenti.

Deve essere rispettata l’autonomia di ciascun paziente nel seguire le indicazioni fornitegli e nel ricevere i trattamenti prescritti. Devono essere adottate particolari misure per le persone prive della capacità di esercitare l’autonomia, per gli individui e i gruppi di particolare vulnerabilità, attraverso modi di comunicazione e informazione commisurate alla loro capacità di comprensione, al fine di tutelare i loro diritti e i loro interessi. Ciò realizza misure, affinché possa sviluppare una più ampia partecipazione alle decisioni che lo riguardano e aumentare il controllo sulla propria salute. Se vulnerabilità, fragilità e invalidità sono parte costitutiva dell’essere umano, allora anche a esse dobbiamo riconoscere quella dignità che ravvisiamo all’uomo tutto intero; inoltre, se è degna la vulnerabilità dell’uomo, se è degno l’uomo fragile e disabile, allora la cura che, in modi diversi e secondo le varie fasi della vita, si presta a ciascun essere umano, non è tanto una questione di virtù, ma una questione di giustizia (sociale). La dignità rinforza e giustifica la cura, così com’è da essa stimolata a una più piena e realistica caratterizzazione del soggetto che ne è portatore.

Consenso condiviso
Qualsiasi intervento sanitario ai fini della prevenzione, diagnosi e cura devono essere eseguite con il consenso preventivo, condiviso, esplicito, libero e informato del paziente, basato su informazioni adeguate e fornite personalmente dal professionista. Comunicare è inevitabile (anche il silenzio comunica). “Farsi capire” è cosa ben diversa: un’operazione complessa che richiede impegno e competenze. 
La comunicazione è una funzione strategica delle organizzazioni e consente loro di sopravvivere, proteggersi, procurarsi risorse ed espandersi. 
Per comunicare efficacemente, è necessario innanzi tutto:

  • Avere un ordine costante e uno scopo (essere cioè strutturato come organizzazione);
  • Acquisire una dimensione individuale (distinta) ed essere riconoscibile;
  • Fare della comunicazione una funzione strategica;
  • Comporre un percorso di comunicazione attraverso la ricerca e l’adozione di linguaggi adeguati definiti riguardo ai target, agli obiettivi della comunicazione stessa e all’ambiente socio-culturale;
  • Essere credibile, congruo e coerente nei contenuti dei messaggi.
  • La comunicazione, per essere efficace, deve raggiungere tutti i principali interlocutori (target) interessati, direttamente o indirettamente, alla corretta e completa comprensione della valenza medico-scientifica nel percorso diagnostico e terapeutico. 
La “catena di trasmissione del valore” sarà tanto più solida ed efficiente quanto più l’informazione sarà in grado di raggiungere tutti gli attori coinvolti.
  • La sostanza del messaggio generale
promuovere lo sviluppo della prevenzione (una disciplina che attraverso percorsi di prevenzione, diagnosi e terapia tutela la salute delle persone) significa promuovere il benessere sociale e le opportunità di vivere una vita intensa, attiva e in piena salute: una condizione che rappresenta un beneficio per l’individuo e per l’intera società. E’ un investimento, non un costo. Una Disciplina Medica in grado di concorrere al raggiungimento di questi obiettivi merita di essere conosciuta, valorizzata e incoraggiata sia favorendone capillarmente lo sviluppo, sia preservandola da forze avverse, sia evitando di comprimerla o ostacolarla.

Il consenso anche se condiviso, per legge, può essere revocato in qualsiasi momento.

Privacy e confidenzialità
Il principio del rispetto per la privacy delle persone coinvolte e la confidenzialità dei loro dati personali sono i principi più recenti e irrinunciabili nel panorama bioetico, tuttavia sono i più difficili da rispettare, a fronte della facilità e delle velocità con cui la tecnologia permette di acquisire e trasferire i dati personali. Pertanto, tali dati non devono essere utilizzati o rivelati a fini diversi da quelli per i quali sono stati raccolti o per i quali è stato dato il consenso, conformemente alla normativa vigente.

Il professionista sanitario è tenuto al rispetto della riservatezza nel trattamento dei dati personali del paziente e particolarmente dei dati sensibili inerenti alla salute e la vita sessuale; acquisisce la titolarità del trattamento dei dati sensibili nei casi previsti dalla legge, previo consenso del paziente o di chi ne esercita la tutela.

Nelle pubblicazioni scientifiche di dati clinici o di osservazioni concernenti singole persone, il medico deve assicurare la non identificabilità delle stesse.

Il consenso specifico del paziente vale per ogni successivo trattamento dei dati medesimi, ma solo nei limiti, nelle forme e con le deroghe stabilite dalla legge.

Il medico non può collaborare alla costituzione di banche di dati sanitari, ove non esistano garanzie di tutela della riservatezza, della sicurezza e della vita privata della persona.

Trattamento dei dati sensibili:

Al medico, è consentito il trattamento dei dati personali idoneo a rivelare lo stato di salute del paziente previa richiesta o autorizzazione da parte di quest’ultimo, subordinatamente a una preventiva informazione sulle conseguenze e sull’opportunità della rivelazione stessa.

Al medico è consentito il trattamento dei dati personali del paziente. In assenza del consenso dell’interessato, solo ed esclusivamente quando sussista la necessità di salvaguardare la vita o la salute del paziente o di terzi (ipotesi previste dalla legge) cioè, quando vi sia il paziente medesimo che non è in grado di prestare il proprio consenso per impossibilità fisica, per incapacità di agire e/o di intendere e di volere. In quest’ultima situazione peraltro, sarà necessaria l’autorizzazione dell’eventuale legale rappresentante laddove prima nominato. Tale facoltà sussiste nei modi e con le garanzie dell’art. 11 anche in caso di diniego dell’interessato, ove vi sia l’urgenza di salvaguardare la vita o la salute di terzi.

Accertamenti diagnostici e trattamenti terapeutici:

La prescrizione di un accertamento diagnostico e/o di una terapia impegna la diretta responsabilità professionale ed etica del medico e non può che far seguito a una diagnosi circostanziata o, quantomeno, a un fondato sospetto diagnostico.

Su tale presupposto al sanitario è riconosciuta autonomia nella programmazione, nella scelta e nell’applicazione di ogni presidio diagnostico e terapeutico, fatta salva la libertà del paziente di rifiutarle e di assumersi la responsabilità del rifiuto stesso.

Le prescrizioni e i trattamenti devono essere ispirati ad aggiornate e sperimentate acquisizioni scientifiche tenuto conto dell’uso appropriato delle risorse, sempre perseguendo il beneficio del paziente secondo criteri di equità.

Il sanitario è tenuto a un’adeguata conoscenza della natura e degli effetti dei farmaci, delle loro indicazioni, controindicazioni, interazioni e delle reazioni individuali prevedibili, e delle caratteristiche d’impiego dei mezzi diagnostici e terapeutici e devono essere adeguate, nell’interesse del paziente, le sue decisioni ai dati scientifici accreditati o alle evidenze metodologicamente fondate.

Sono vietate l’adozione e la diffusione di terapie e di presidi diagnostici non provati scientificamente o non supportati da adeguata sperimentazione e documentazione clinica scientifica, e di terapie segrete.

In nessun caso il medico dovrà accedere a richieste del paziente in contrasto con i principi di scienza e coscienza allo scopo di compiacerlo, sottraendolo alle sperimentate ed efficaci cure disponibili.

La prescrizione di farmaci, sia per indicazioni non previste dalla scheda tecnica, sia non ancora autorizzati al commercio, è consentita purché la loro efficacia e tollerabilità sia scientificamente documentata.

In tali casi, acquisito il consenso scritto del paziente, debitamente informato, il sanitario si assume la responsabilità della cura ed è tenuto a monitorarne gli effetti.

È obbligo del sanitario segnalare tempestivamente alle autorità competenti, le reazioni avverse eventualmente comparse durante un trattamento terapeutico.

Sicurezza del paziente e prevenzione del rischio clinico:

Il sanitario opera al fine di garantire le più idonee condizioni di sicurezza del paziente e contribuire all'adeguamento dell'organizzazione sanitaria, alla prevenzione e gestione del rischio clinico anche attraverso la rilevazione, segnalazione e valutazione degli errori al fine del miglioramento della qualità delle cure.

Il medico e l’igienista al tal fine devono utilizzare tutti gli strumenti disponibili per comprendere le cause di un evento avverso e mettere in atto i comportamenti necessari per evitarne la ripetizione; tali strumenti costituiscono esclusiva riflessione tecnico-professionale, riservata, volta all’identificazione dei rischi, alla correzione delle procedure e alla modifica dei comportamenti.

Uguaglianza, giustizia, equità

Il Filosofo Kant ha sostenuto che una persona agisce autonomamente quando i princìpi della sua azione sono scelti da lui come l'espressione più adeguata possibile della sua natura di essere razionale libero ed eguale. I princìpi in base ai quali agisce non vanno adottati a causa della sua posizione sociale o delle sue doti naturali, o in funzione del particolare tipo di società in cui vive, o di ciò che gli capita di volere. Agire, secondo questi princìpi, significherebbe agire in modo eteronomo. Il velo d’ignoranza priva le persone nella posizione originaria delle conoscenze che le metterebbero in grado di scegliere princìpi eteronomi. Le parti giungono insieme alla loro scelta, perché persone razionali libere ed eguali, conoscendo solo quelle circostanze che fanno sorgere il bisogno di princìpi di giustizia ".

Inoltre, approfondendo il rapporto con Kant, si nota che i princìpi di giustizia sono da considerarsi come "imperativi categorici" nel senso kantiano. Infatti, con "imperativo categorico" Kant intende quel principio di condotta morale che si addice a una persona in virtù della sua natura, di essere razionale, libero ed eguale. In altri termini, l'imperativo morale kantiano è categorico, proprio perché prescinde da scopi o desideri particolari. Al contrario, un imperativo è ipotetico poiché ci indirizza a fare certe mosse in vista di certi fini specifici: " muoversi da princìpi di giustizia significa agire da imperativi categorici, nel senso che essi si applicano al nostro caso indipendentemente dai nostri scopi particolari ".

Il principio di “riparazione" segue il criterio secondo il quale se si vuole assicurare a tutti un'effettiva eguaglianza di opportunità, la società deve prestare maggiore attenzione a chi è nato con meno doti o in posizioni sociali meno favorevoli. L'idea è di riparare i torti dovuti al caso, in direzione dell'eguaglianza. Per ottenere quest’obiettivo dovrebbero essere impiegate maggiori risorse nell'educazione dei meno intelligenti invece che in quella dei più dotati, almeno in un determinato periodo della vita, quello dei primi anni di scuola. In termini più generali, si dovrebbe adottare, come elemento cardine, il cosiddetto " principio di differenza ", che si collega all'idea di fratellanza (contenuta nella celebre rivendicazione dei rivoluzionari francesi del 1789, insieme alla libertà e all'eguaglianza). Il principio di differenza sembra corrispondere al significato naturale della fraternità; cioè, all'idea di non desiderare maggiori vantaggi, se non ciò non vada a beneficio di quelli che stanno meno bene. Coloro che si trovano nelle condizioni migliori desiderano ottenere maggiori benefìci soltanto all'interno di uno schema in cui ciò va a vantaggio dei meno fortunati.

A ciascun essere umano va riconosciuta la fondamentale uguaglianza in termini di dignità e diritti, affinché tutti siano trattati in maniera giusta ed equa, con uguale accesso alle risorse dedicate alla prevenzione e cura.

Etica e Odontoiatria:

Tra i requisiti etici della professione dell’Odontoiatra e dell’igienista c’è anche quello di essere attenti all’estetica.

Alcune situazioni proprie dell’attività odontoiatrica specie quelle a carattere estetico, meritano una particolare riflessione bioetica perché il volto e soprattutto la bocca, come “strumento polifunzionale”, fonte di erotismo e centro fisiologico di articolazione delle parole, rappresentano un primario elemento di approccio e di confronto con il mondo degli altri, ma prima ancora la sola immagine di noi – seppure incompleta e unilaterale – che ci portiamo dentro come simbolo della nostra identità in grado di condizionarci nei rapporti con gli altri. Il verbum e il vultus, entrambi passibili d’impegni interventistici diretti o indiretti da parte dell’odontoiatra, attraverso un dialogo senza segreti con il paziente, costituiscono mediatori essenziali dell’espressività e della proiezione esteriorizzata dell’identità culturale. Ogni possibile cambiamento – anche migliorativo – del nostro aspetto e della propria dinamicità, se non corrispondente allo schema di noi stessi, può essere fonte di grave disagio. Non va trascurato, infatti, che la psiche di alcuni pazienti interpreta e media sulla percezione del “bello” vivendo in peggio ogni vera o presunta sensazione di cambiamento. In questi casi si può determinare quelle turbative della “immagine di sé” che rappresenta patrimonio individuale inattaccabile, a prezzo – in soggetti predisposti – di scompensi anche gravi. Pertanto l’elemento biologico della salute della bocca e dei denti, ma anche la valenza comunicativa e antropologica e il suo significato simbolico, giustificano un importante impegno bioetico nella risoluzione di alcune contingenze professionali, in ragione del fatto che il concetto di bello umano, non può essere ancorato a un parametro ben definito e, come tale, univocamente inteso e unanimemente accettato.

Quando si tratta di pura estetica, il fine del trattamento (che non è più una terapia) non è quello di applicare la speciale competenza dell’operatore nel soddisfare una necessità clinica, ma è la pura soddisfazione dei desideri del paziente-cliente. E’ evidente che la differenza dei fini e la distinzione tra terapia e trattamenti non terapeutici, cambiano radicalmente la relazione operatore/paziente portandola dall’ambito sanitario a quello commerciale, tramutandola in un rapporto fornitore-cliente.

La professione medica, così come quella dell’igienista dentale, si basa su una scala di valori, dove si trovano, in ordine d’importanza.

  1. La vita
  2. La salute
  3. L’autonomia del paziente

e… solo alla fine le considerazioni estetiche.

Non deve essere trascurato l’idea del dolore, presenza costante e intollerabile per molti, che spesso si associa automaticamente alla figura del dentista e dell’igienista e che potrebbe rappresentare, in pazienti predisposti particolarmente sensibili, causa di temporanea destrutturazione dell’insieme delle percezioni dell’io, nonostante gli anestetici più maneggevoli e l’utilizzazione di strumenti rotanti di migliore qualità che, negli ultimi anni, hanno segnato un progresso indiscutibile dell’analgesia. Migliore gestione del dolore che, val la pena di rilevare, rappresenta un imperativo etico per l’odontoiatra e che tuttora presenta lacune intollerabili.

Un altro aspetto va preso in considerazione nel rapporto odontoiatra-paziente: il fatto che non infrequentemente dall’esame della bocca risaltino non solo le patologie precedenti e quelle attuali, ma anche lo stile e le abitudini di vita del paziente, quasi una ricostruzione biografica che, per l’intervento dell’odontoiatra, potrebbe subire una svolta in grado di coinvolgere lo stesso modo di essere. Si potrebbe realizzare quindi, attraverso un intervento non solo restaurativo ma migliorativo, un’autentica “transizione da un’odontoiatria delle cure a un’odontoiatria del care”, peraltro bioeticamente auspicabile. L’igienista in particolare deve essere investita da compiti preventivi oltre che terapeutici, di straordinario interesse sociale, tanto più rilevanti quanto più l’odontoiatra e l’igienista rimangano fedeli alle origini scientifiche dell’odontoiatria. Né va trascurato che sia il dentista, sia l’igienista possono rilevare la presenza di lesioni a carico della bocca e dei denti – soprattutto nei bambini ma anche nelle persone anziane – di lesioni volontarie in ambito domestico. In caso di rapporto privatistico, l’esercente una professione sanitaria non è tenuto al referto in quanto delitto non perseguibile d’ufficio, ciò non significa che non debba intervenire verbalmente con i familiari, pur se con doverosa cautela. In caso di trattamenti odontoiatrici in struttura pubblica, è viceversa obbligato a segnalare i casi di presunta violenza all’autorità giudiziaria. L’obbligo di referto sussiste anche nell’eventualità di maltrattamenti in famiglia su bambini e anziani.

Codice Deontologico:

Il nome "deontologia" deriva dal greco "deon" che significa "dovere". L'obiettivo di Kant - contraddetto peraltro da  Schopenhauer -  nella formulazione della deontologia, era quello di stabilire un sistema etico che non dipendesse dall'esperienza soggettiva ma da una logica inconfutabile.

La correttezza etica di un comportamento è un dovere assoluto e innegabile.

La deontologia professionale consiste nell'insieme delle regole comportamentali, il cosiddetto “codice deontologico”

il quale si riferisce in questo caso a una determinata categoria professionale.

Talune attività o professioni, a causa delle loro peculiari caratteristiche sociali, si pensi ai medici, agli psicologi, agli odontoiatri, agli igienisti o agli avvocati, devono rispettare un determinato codice comportamentale, il cui scopo è impedire di ledere la dignità o la salute di chi sia oggetto del loro lavoro. Ecco perché coloro che sono abilitati alla professione hanno elaborato codici di deontologia di cui sarebbero tutori mediante l'esercizio di poteri disciplinari.

Il codice deontologico è la normativa di riferimento del professionista cui si deve attenere per l'espletamento della sua professione. E’ un documento, che detta le regole di condotta e d’indirizzo etico, costituendone il fondamento e la natura, nella sua attività professionale.

Il Codice Deontologico è garanzia di univocità per il comportamento da parte di appartenenti a una Professione e costituisce un punto di riferimento per il singolo utente e per la collettività.

Ecco che il codice deontologico, per le professioni sanitarie, in particolare, ritorna all’assunto di Aristotele:

  • “logica” (dottrina della scienza),
  • “fisica” (dottrina della realtà),
  • “etica” (comportamento rispetto alla realtà).

Codice deontologico dell’Igienista Dentale

La prevenzione, in ogni sua forma, è sollecitata dall’OMS per cercare di coniugare i valori di qualità con la riorganizzazione della spesa pubblica e in particolare quella sanitaria. Le patologie orali e il loro trattamento hanno un notevole impatto sulla qualità della vita e determinano una serie di conseguenze sui bilanci del Servizio Sanitario Nazionale: di norma il 5-10% della spesa sanitaria pubblica è riferibile a cure odontoiatriche.

La Comunità Europea ci invita a:

  • Aumentare il livello generale di conoscenza sullo stato della 
salute dentale nei bambini e negli adulti;
  • Informare gli operatori che il servizio sanitario dentale costa 
tra il 5-10% del budget del servizio sanitario nazionale;
  • Informare gli operatori del settore circa i fattori di rischio che 
possono influenzare negativamente la salute orale.

In particolare gruppi socialmente svantaggiati, specialmente coloro i quali hanno un reddito basso e un livello d’istruzione inferiore, hanno un rischio più elevato di sviluppare la malattia.La figura professionale dell’Igienista Dentale s’inserisce in questa sfera in cui la professionalità ha un valore inestimabile. Nell’espletamento dell’attività clinica, ha il dovere di interpretare il delicato ruolo di raccordo tra l’odontoiatra e il paziente; tra paziente e comunità, in scienza e coscienza, nel rispetto di ogni singola professionalità che compone il team e salvaguardando il diritto all’autodeterminazione del paziente.

Da qui nasce la necessità di un codice etico comportamentale che fissi in maniera chiara e sintetica i riferimenti bioetici e comportamentali che fungono da cornice entro cui il professionista della salute ha il dovere di agire.

E’ necessario promuovere la sensibilizzazione e la formazione degli igienisti dentali a problematiche di particolare criticità quali il trattamento di pazienti con malattie sistemiche, di soggetti fragili per età, sviluppo cognitivo e maturazione personale, i quali non hanno ancora acquisito una “capacità naturale” di comprendere e valutare adeguatamente le informazioni; gli anziani non autosufficienti e le persone con gravi disabilità cognitive e/o motorie. Nei confronti di questi pazienti è necessario che il professionista abbia una formazione specifica scientifica/psicologica tale da garantire una peculiare capacità d’interazione che consenta, modulando le informazioni in base alle diverse capacità di comprensione di ciascun soggetto, riducendo al minimo il dolore, il disagio, la paura, di ottenere il maggior coinvolgimento possibile e un’efficace e convinta collaborazione.

In modo specifico è essenziale rendere corresponsabili le figure che si prendono cura dei pazienti vulnerabili: i genitori nel caso dei piccoli minori, gli assistenti nel caso di anziani non auto- sufficienti o di persone con disabilità cognitive o motorie, o i rappresentanti legali, ove previsti. A queste figure devono essere fornite informazioni complete sull’intervento che s’intende eseguire e sull’attività di mantenimento a domicilio, in modo da ottenere il loro efficace e responsabile coinvolgimento.

Codice Deontologico Generale

Articolo 1

L'igienista dentale è il professionista sanitario responsabile della prevenzione.

Articolo 2

L’igienista è al servizio alla persona, alla famiglia e alla collettività. Si realizza attraverso interventi specifici, autonomi e complementari di natura intellettuale, tecnico-scientifica, gestionale, relazionale ed educativa.

Articolo 3

L'igienista ha la responsabilità di assistere, di curare e di prendersi cura della persona nel rispetto della vita, della salute, della libertà e della dignità dell'individuo.

Articolo 4

L'igienista presta assistenza secondo principi di equità e giustizia, tenendo conto dei valori etici, religiosi e culturali, nonché del genere e delle condizioni sociali della persona.

Articolo 5

L’igienista è garante del rispetto dei diritti fondamentali dell'uomo e dei principi etici della professione ed è condizione essenziale per l'esercizio della professione.

Articolo 6

L'igienista riconosce la salute come bene fondamentale della persona e interesse della collettività e si impegna a tutelarla con attività di prevenzione, terapia e mantenimento.

Articolo 7

L’igienista orienta la sua azione al bene dell'assistito di cui attiva le risorse sostenendolo nel raggiungimento della maggiore autonomia possibile, in particolare, quando vi sia disabilità, svantaggio, fragilità.

Articolo 8

L’igienista, nel caso di conflitti determinati da diverse visioni etiche, s’impegna a trovare la soluzione attraverso il dialogo. Qualora vi fosse e persistesse una richiesta di attività in contrasto con i principi etici della professione e con i propri valori, si avvale della clausola di coscienza, facendosi garante delle prestazioni necessarie per il benessere del paziente.

Articolo 9

L’igienista, nell'agire professionale, s’impegna a operare con prudenza al fine di non nuocere.

Articolo 10

L’igienista contribuisce a rendere eque le scelte tecnologiche, anche attraverso l'uso ottimale delle risorse disponibili.

Articolo 11

L’Igienista fonda le proprie prestazioni su conoscenze validate e aggiorna le competenze attraverso la formazione permanente, la riflessione critica sull'esperienza e la ricerca. Progetta, svolge e partecipa ad attività di formazione. Promuove, attiva e partecipa alla ricerca e cura la diffusione dei risultati.

Articolo 12

L’igienista riconosce il valore della ricerca, della sperimentazione clinica e assistenziale per l’evoluzione delle conoscenze e per i benefici sull’assistito.

Articolo 13

L'igienista assume responsabilità in base al proprio livello di competenza e ricorre, se necessario, all'intervento o alla consulenza dell’odontoiatra. Presta consulenza ponendo le proprie conoscenze e abilità a disposizione della comunità professionale.

Articolo 14

L’igienista riconosce che l’interazione fra professionisti e l'integrazione interprofessionale come norme fondamentali per far fronte ai bisogni dell’assistito.

Articolo 15

L’igienista chiede formazione e/o supervisione per pratiche nuove o sulle quali non ha esperienza.

Articolo 16

L'igienista si attiva per l'analisi dei dilemmi etici vissuti nell'operatività quotidiana e promuove il ricorso alla consulenza etica, anche al fine di contribuire all’approfondimento della riflessione bioetica.

Articolo 17

L’igienista nell'agire professionale è libero da condizionamenti derivanti da pressioni o interessi di assistiti, familiari, altri operatori, imprese, associazioni, organismi.

Articolo 18

L'igienista, in situazioni di emergenza-urgenza, presta soccorso e si attiva per garantire l'assistenza necessaria.

Articolo 19

L'igienista promuove stili di vita sani, la diffusione del valore della cultura, della salute e della tutela ambientale, anche attraverso l’informazione e l'educazione. A tal fine attiva e sostiene la rete di rapporti tra servizi e operatori.

Articolo 20

L'igienista ascolta, informa, coinvolge il paziente e valuta con lui i bisogni assistenziali, anche al fine di esplicitare il livello di assistenza garantito e facilitarlo nell’esprimere le proprie scelte.

Articolo 21

L'igienista, rispettando le indicazioni espresse dall'assistito, ne favorisce i rapporti con la comunità e le persone per lui necessari, coinvolgendole nel piano di assistenza. Tiene conto della dimensione interculturale e dei bisogni assistenziali ad essa correlati.

Articolo 22

L’igienista conosce il progetto diagnostico-terapeutico per gli interventi dell’odontoiatra e le influenze che questo ha sul percorso di cura e sulla relazione con l’assistito.

Articolo 23

L’igienista riconosce il valore dell’informazione integrata multiprofessionale e si adopera affinché l’assistito disponga di tutte le informazioni necessarie ai suoi bisogni di vita.

Articolo 24

L'igienista aiuta e sostiene l’assistito nelle scelte, fornendo informazioni di natura assistenziale in relazione ai progetti diagnostico-terapeutici e adeguando la comunicazione alla sua capacità di comprendere.

Articolo 25

L’igienista rispetta la consapevole e rende comprensibile la volontà dell’assistito di non informare alcuno sul suo stato di salute, purché la mancata informazione non sia di pericolo per sé o per gli altri.

Articolo 26

L'igienista assicura e tutela la riservatezza nel trattamento dei dati relativi al paziente. Nella raccolta, nella gestione e nel passaggio di dati, si limita a ciò che è attinente all’assistenza.

Articolo 27

L'igienista, garantisce la continuità assistenziale, anche contribuendo alla realizzazione di una rete di rapporti interprofessionali e di una efficace gestione degli strumenti informativi.

Articolo 28

L'igienista rispetta il segreto professionale non solo per obbligo giuridico, ma per intima convinzione e come espressione concreta del rapporto di fiducia con l'assistito.

Articolo 29

L'igienista concorre a promuovere le migliori condizioni di sicurezza del paziente e dei familiari e lo sviluppo della cultura della prevenzione. Partecipa alle iniziative per la gestione del rischio clinico.

Articolo 30

L'igienista si adopera affinché il ricorso alla contenzione sia evento straordinario, sostenuto da prescrizione medica o da documentate valutazioni assistenziali.

Articolo 31

L'igienista si adopera affinché sia presa in considerazione l'opinione del minore rispetto alle scelte assistenziali, diagnostico-terapeutiche, tenuto conto dell'età e del suo grado di maturità.

Articolo 32

L'igienista s’impegna a promuovere la tutela dei pazienti, che si trovano in condizioni che ne limitano lo sviluppo o l'espressione, quando la famiglia e il contesto non siano adeguati ai loro bisogni.

Articolo 33

L'igienista che rilevi maltrattamenti o privazioni a carico del paziente (uomo, donna, bambino, anziano) mette in opera tutti i mezzi per proteggerlo, segnalando le circostanze, ove necessario, all'odontoiatra o all’autorità competente.

Articolo 34

L'igienista si attiva per prevenire e contrastare il dolore e alleviare la sofferenza. Si adopera affinché il paziente riceva tutti i trattamenti necessari.

Articolo 35

L'igienista presta assistenza qualunque sia la condizione clinica del paziente; riconoscendo l'importanza del conforto ambientale, fisico, psicologico, relazionale, spirituale.

Articolo 36

L'igienista tutela la volontà dell’assistito di porre dei limiti agli interventi che non siano proporzionati alla sua condizione clinica e coerenti con la concezione da lui espressa.

Articolo 37

L’igienista, quando il paziente non è in grado di manifestare la propria volontà, tiene conto di quanto dichiarato dal tutore o da quanto da lui chiaramente espresso in precedenza e documentato.

Articolo 38

L'igienista non attua e non partecipa a interventi non finalizzati al benessere psico/fisico del paziente.

Articolo 39

L'igienista sostiene i familiari e le persone di riferimento del paziente, in particolare nei pazienti fragili.

Articolo 40

L'igienista collabora con i colleghi e gli altri operatori di cui riconosce e valorizza lo specifico apporto all'interno dell'équipe.

Articolo 41

L'igienista tutela la dignità propria e dei colleghi, attraverso comportamenti ispirati al rispetto e alla solidarietà.

Articolo 42

L'igienista segnala alla propria associazione di categoria professionale ogni abuso o comportamento dei colleghi contrario alla deontologia.

Articolo 43

L'igienista tutela il decoro personale e il proprio nome. Salvaguarda il prestigio della professione ed esercita con onestà l’attività professionale.

Articolo 44

L’igienista agisce con lealtà nei confronti dei colleghi e degli altri operatori.

Articolo 45

L’igienista s’ispira a trasparenza e veridicità nei messaggi pubblicitari, nel rispetto delle indicazioni della Legge.

Articolo 46

L'igienista, ai diversi livelli di responsabilità, contribuisce a orientare le politiche e lo sviluppo del sistema sanitario, al fine di garantire il rispetto dei diritti degli assistiti, l'utilizzo equo ed appropriato delle risorse e la valorizzazione del ruolo professionale.

Articolo 47

L'igienista, ai diversi livelli di responsabilità e nei diversi contesti, di fronte a carenze o disservizi provvede a darne comunicazione ai responsabili professionali della struttura in cui opera o a cui afferisce il proprio paziente.

Articolo 48

L’igienista, nell’interesse primario degli assistiti, compensa le carenze e i disservizi che possono eccezionalmente verificarsi nella struttura in cui opera. Rifiuta la compensazione, documentandone le ragioni, quando sia abituale o ricorrente o comunque pregiudichi sistematicamente il suo mandato professionale.

Articolo 49

L'igienista, a tutela della salute della persona, segnala alla propria associazione di categoria o alle autorità competenti (NAS), le situazioni che possono configurare l’esercizio abusivo della professione d’igienista.

Articolo 50

L'igienista segnala alle autorità competenti o alle associazioni sindacali, le situazioni in cui sussistono circostanze o persistono condizioni che limitano la qualità delle cure e dell’assistenza o il decoro dell'esercizio professionale.

Per concludere:

  • Pianificare e svolgere un programma di prevenzione sia primaria sia secondaria per ogni singolo paziente;
  • Applicare la conoscenza specifica e le capacità personali a tutte le tecniche cliniche e alle procedure educative;
  • Considerare il paziente nella sua interezza psicofisica e adattare per ognuno tutte le procedure tecniche e psicologiche conosciute;
  • Ottenere il consenso dal paziente al trattamento. A questo scopo deve fornire tutte le indicazioni corrette e le informazioni circa le scelte, oltre ai rischi ed effetti collaterali della cura;
  • Dare l’opportunità al paziente di fare domande e ottenere risposte;
  • Osservare il segreto professionale e garantire la riservatezza dell’informazione sulla salute in generale. I dati devono essere trattati in conformità con i principi etici e normativi della loro protezione;
  • Aggiornarsi per acquisire conoscenze scientifiche e qualifiche professionali, al fine di garantire la qualità dei trattamenti;
  • Applicare un continuo processo di “qualità” attraverso i protocolli previsti per l’autovalutazione e l’autosviluppo rispetto al team odontoiatrico, a se stessi e ai colleghi;
  • Avere riguardo per i bisogni di tutti i pazienti, ma in particolare per quelli vulnerabili, dimostrando capacità interpersonali che permettano di prendersi cura efficacemente delle individualità d’ogni paziente;
  • Agire in modo da tenere alto il prestigio della professione;
  • Attenersi rigorosamente al rispetto professionale nei confronti dei collaboratori 
e dei colleghi, e di tutto il team odontoiatrico;
  • Verificare che l’attività svolta nello stesso ambito professionale non sia sospetto di abuso di professione o di pratica illegale;
  • Collaborare alla ricerca per il miglioramento della professione e non accettare o erogare incentivi finanziari o di altra utilità a fini di comparaggio;
  • Partecipare attivamente al confronto diretto con i colleghi attraverso associazioni nazionali, europee, internazionali, forum telematici, network per ampliare le proprie conoscenze e visione della professione.

M. Irene Riccitelli Guarrella

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